Sono passati cinquant’anni da quando due missionari clarettiani, Roberto Rocchi ed Angelo Cupini, nel mese di ottobre, si sono trasferiti a vivere dal seminario clarettiano di Lierna a Malgrate, in provincia di Lecco in un condominio in via Gaggio 52 per accompagnare e condividere la vita dei giovani al margine.
La nostra scelta, approvata dai Superiori religiosi, si è andata trasformando nel tempo: dall’attenzione ai tossicodipendenti, agli immigrati, al dialogo tra le esperienze civili e religiose.
Dopo cinquant’anni ci chiediamo come è stato possibile vivere un tempo così lungo?
Dio ci ha accompagnato nella fiducia che hanno avuto i nostri superiori religiosi; ci sono state famiglie “normali” che ci hanno accolto e hanno aperto le loro case all’ospitalità; l’adesione di laici, donne e uomini, a questo progetto di vita.
La gente ci ha avvolto del suo bene e ci ha fatto fare cose che non avremmo mai immaginato.
Ci sembra di rileggere alcune pagine dei primi tempi della chiesa.
Il nome che abbiamo scelto come indicativo è stato quello di un riferimento di indirizzo postale, ma nell’antica lingua longobarda gaggio significava il bosco comune nel quale la gente andava a rifornirsi di legna per la vita della casa.
È un nome che ci ha portato bene.
Così abbiamo tentato di rendere la nostra vita: accogliente, sostenuta economicamente dal lavoro professionale che svolgevamo, attenta a cogliere le trasformazioni del territorio.
Abbiamo camminato tanto muovendoci ad ogni segnale che ci arrivava. Abbiamo ascoltato quello che la gente ci indicava, abbiamo scommesso insieme sulle vite da resuscitare; ci siamo fidati della Parola.
La piccolissima presenza clarettiana ha camminato sostenendo la vita di tutti (cioè, abbiamo fatto in modo che ognuno potesse realizzare il proprio progetto di vita). L’associazione “Comunità di via Gaggio” ha favorito la realizzane di attività lavorative, ma noi non ne siamo diventati padroni.
Abbiamo vissuto così lo sviluppo di un carisma al servizio di un territorio.
Nel raccogliere questi cinquant’anni non abbiamo nessuna proprietà acquistata, pensiamo di aver dilatato il seme del carisma, di un modello di vita che è quello di prendersi cura dell’altro, di ascolto della Parola, di amare la Giustizia, come abbiamo scritto sul muro della casa qualche anno fa, di una condivisione normale tra laici e religiosi.
Essere in tutto al servizio della vita e non servirsi per dilatare la propria area di influenza, anche religiosa.
Da tre anni la presidenza e il Consiglio di amministrazione dell’associazione è a carico di laici, fedeli alla loro scelta di vita.
Non abbiamo voluto aggiungere l’aggettivo clarettiano alla loro scelta di vita perché fosse dichiarata la loro radice laicale.
Nel continuare (o nel congedarci da) questa esperienza Roberto ed io pensiamo di essere rimasti fedeli alla misericordia; pensiamo che abbiamo messo in circuito parole, gesti e percorsi di pace.
Cosa ha raccolto l’Istituto dalla nostra presenza?
Certamente non si è arricchito di beni materiali; abbiamo dedicato le nostre vite ad essere utili; abbiamo dialogato con le chiese e con l’umanità partendo sempre dal punto più marginale.
Siamo vissuti come tutti, lavorando e collaborando. Abbiamo ridotto la violenza delle persone sulle persone. Abbiamo accompagnato vite destinate al macero e al nonsenso. Custodiamo i nomi, e li abbiamo scritti sul Muro della Memoria alla Casa sul pozzo, di un centinaio di persone che hanno abitato questa esperienza e che hanno attraversato il fiume.
Abbiamo camminato sempre al margine con la volontà di rimanervi perché i passi fossero possibili a tutti.
Angelo Cupini